Fratture dell’anca

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Introduzione 

Con l’aumentare della popolazione anziana, sono sempre di più i pazienti che dopo una caduta vengono ricoverati in ospedale per una frattura del collo del femore, che rappresenta una delle fratture più frequenti nelle persone anziane.

Infatti il 90% delle fratture al femore colpiscono persone oltre i 65 anni, con una netta prevalenza del sesso femminile che risulta colpito nel 75% dei casi e che sono rappresentate soprattutto da donne bianche che rispetto a quelle nere od ispaniche fanno una vita più sedentaria, fanno maggior uso di tabacco, alcol e caffeina.

Tutte queste abitudini peggiorano l’osteoporosi che normalmente si verifica in tutte le persone con l’avanzare dell’età e soprattutto nelle donne dopo la menopausa.

Le fratture del collo del femore nell’anziano rappresentano un evento grave perché mettono in pericolo la vita stessa del paziente . La frattura è raramente un problema difficile da risolvere ma una volta verificatasi conduce spesso a complicanze che insorgono in particola modo nei pazienti anziani allettati (che stanno a lungo a letto) .

Tali complicanze possono trasformare una semplice frattura in una minaccia per la vita stessa del paziente. Basti pensare che circa il 15-20% dei pazienti con frattura dell’estremità prossimale muore entro un anno dall’evento traumatico. I dati sono ancor più allarmanti se si considera che circa il 50% dei pazienti perde parzialmente o totalmente l’autosufficienza dopo aver subito questo tipo di lesione.

Questa guida vi aiuterà a capire

  • quali sono le cause
  • come fanno i medici a diagnosticare il problema
  • quali sono le possibilità di trattamento disponibili

Anatomia 

L’articolazione che comunemente chiamiamo anca è formata dalla testa del femore e da quella parte del bacino a forma di cupola, ricoperta di cartilagine che si chiama acetabolo.

Immaginate la testa del femore come una palla e l’acetabolo come una cavità sferica nel bacino che ingloba la palla (testa del femore) . All’interno della cavità sferica , la palla può ruotare in tutte le direzioni.

Nella realtà la testa del femore non può girare completamente ma è vincolata entro certi limiti per la presenza del collo femorale, e di altre strutture importanti quali i legamenti ed i muscoli, che si attaccano numerosi sul femore.

Il movimento della articolazione è reso più agevole dalla presenza della cartilagine che è un tessuto che ricopre entrambe le superfici articolari (testa del femore e acetabolo)

La cartilagine, con la sua superficie liscia e levigata, assorbire gli urti e permette un ottimale scorrimento tra la palla e la cavità sferica che altrimenti avrebbero un attrito troppo elevato causando dei danni all’articolazione

La cartilagine è nutrita ed è resa ancora più scorrevole dalla presenza in articolazione del liquido sinoviale che funziona come un lubrificante.

La testa femorale è attaccata al resto del femore da una corta porzione che viene chiamata collo del femore. La protuberanza sulla parte esterna del femore appena al di sotto del collo del femore è chiamata gran trocantere. In questa regione si inseriscono i grossi muscoli dell’anca (in particolar modo il muscolo gluteo medio).

Tutta la vascolarizzazione della testa del femore arriva dal collo femorale. Se questo flusso di sangue si interrompe per qualsiasi motivo non c’è più afflusso di sangue alla testa femorale. Uno dei problemi nelle fratture dell’anca che in alcuni casi la vascolarizzazione si interrompe. Questa situazione può condurre alla morte della testa femorale, complicanza chiamata necrosi avascolare. In questo caso non c’è più alcun modo di far guarire la testa femorale.

Classificazione della fratture di femore

A seconda della posizione della linea di frattura potremo avere una frattura intraarticolare (cioè posta all’interno dell’articolazione) oppure extraarticolare (al di fuori dell’articolazione).

Una frattura intraarticolare ha un alto rischio di associarsi ad una lesione dei vasi sanguigni che nutrono le cellule ossee della testa del femore e quindi è molto probabile che la testa muoia (vada in necrosi)

Una frattura extraarticolare solitamente non interrompe il flusso di sangue alla testa del femore e quindi la testa non muore.

Vengono classificate in questo modo (vedi figura sottostante):

fratture intraarticolari:

  • sottocapitata (subito sotto la testa del femore)
  • mediocervicale (a metà del collo del femore)
  • basicervicale (all’inizio del collo del femore)

fratture extraarticolariche si differenziano in diversi sottotipi, che sono:

  • pertrocanteriche
  • persottotrocanteriche
  • sottotrocanteriche

Cause

Negli anziani le fratture del femore sono spesso causate da una caduta o da un trauma apparentemente insignificante. Osteoporosi, tumori o infezioni possono infatti minare la solidità dell’osso rendendolo più suscettibile alle fratture.

Per un anziano i principali fattori di rischio sono quindi legati alle cadute ed all’osteoporosi che indebolisce la struttura ossea del collo femorale fino, nei casi più estremi, a provocarne una frattura quando sottoposta al semplice carico durante la deambulazione.

E’ spesso difficile dire se la caduta è avvenuta in seguita alla frattura o se la caduta ha provocato la frattura

Molte volte le cadute sono invece correlate al deterioramento organico tipico dell’età avanzata. La diminuzione dell’equilibrio, della forza muscolare, dei riflessi e della lucidità mentale, associata a malattie come disturbi visivi e ipotensione ortostatica, rappresenta un importante fattore predisponente.

Sintomi

Quando la frattura del femore è scomposta, cioè quando i due capi ossei perdono il loro naturale allineamento, si accompagna a dolore intenso (che può irradiarsi all’inguine) e all’impossibilità di muovere la coscia. L’arto interessato si presenta addotto (avvicinato all’altro), extraruotato (il piede tende a toccare il terreno con il suo margine esterno) e leggermente più corto di quello sano. Al contrario, quando la frattura è composta, il paziente può accusare un dolore di non grave entità in sede inguinale e può anche riuscire a camminare.

Diagnosi

La diagnosi della frattura è prima di tutto suggerita dalla storia clinica e dall’esame obiettivo nonché dalle immagini radiografiche. La radiografia permette di individuare facilmente le fratture scomposte, mentre per quelle composte è fondamentale una lettura più attenta dei radiogrammi.

Solo in casi dubbi, che sono la grande minoranza, può essere utile fare una TAC o una Risonanza Magnetica.

Trattamento

Trattamento non chirurgico

Talvolta è possibile che la frattura sia contenuta ed apparentemente stabile. In tutti questi casi, che purtroppo sono pochi, è possibile provare a non fare l’intervento chirurgico dicendo al paziente di appoggiare con cautela il peso sul femore che fa male.

La frattura, quando ritenuta stabile, può addirittura migliorare quando ci si cammina sopra perché’ il peso del corpo la impatta, stabilizzandola ulteriormente e permettendole di guarire da sola.

Una frattura all’inizio stabile, può tuttavia diventare instabile nel corso delle settimane successive. In questo caso o nel caso di una frattura instabile fin dall’inizio, si rende necessario un intervento chirurgico.

Trattamento chirurgico

L’intervento chirurgico, è mirato ad togliere il dolore ed a ottenere una ripresa funzionale(deambulazione) evitando lunghi periodi di immobilità a letto che portare a complicazioni anche molto serie (piaghe da decubito, infezioni polmonari e vescicali, trombosi delle vene degli arti inferiori).

La tecnica adottata dipende dal tipo di frattura e dall’età del paziente.

Viti metalliche

Nei pazienti giovani meno di 60 anni dove la frattura è composta (quando i due capi ossei non perdono il loro naturale allineamento) si può tentare l’inserimento di 2-3 viti metalliche, procedura chirurgica relativamente semplice che evita la scomposizione successiva della frattura. Dopo questo intervento il carico sull’arto operato è generalmente sfiorato per le prime 4-6 settimane per evitare che le viti possano spostarsi.

Chiodo femorale o placca

Se la frattura è extra articolare (fuori dall’articolazione) od il paziente è più giovane dove quindi ci sono buone probabilità che la vascolarizzazione non sia interrotta, si ricorrere all’osteosintesi, cioè ad un intervento chirurgico mirato all’unione dei frammenti ossei con mezzi metallici, quali chiodi e placche. Dopo l’intervento è fondamentale adottare adeguati protocolli di riabilitazione.

Protesi dell’anca totale o parziale 

Generalmente, se la frattura è intra-articolare (cioè posta all’interno dell’articolazione) e scomposta (quando i due capi ossei perdono il loro naturale allineamento) ed il paziente ha più di 60 anni, la possibilità che i vasi sanguigni della testa femorale siano interrotti è molto alta. In questi casi quindi si verificherebbe la necrosi avascolare della testa (morte della testa). In tuti questi casi il vostro ortopedico vi suggerirà l’intervento chirurgico dove si rimuove la testa femorale e si procede con l’applicazione di una protesi articolare totale o della sola estremità femorale (detta endoprotesi) suggerita per i pazienti con più di 70 anni di età o con scarse richieste funzionali).

I rischi dell’intervento chirurgico:

  • Infezione
  • Ematoma
  • Ritardi di cicatrizzazione o cicatrice non estetica o dolorosa
  • Rottura od usura degli impianti metallici anche a distanza di anni
  • Lussazione della protesi (cioè quando la testa della protesi esce dalla componente protesica del bacino)
  • Lesione di vasi o nervi
  • Persistenza del dolore
  • Collasso dell’osso dopo l’impianto dei mezzi di sintesi (nelle fratture extra-articolari): può avvenire anche a distanza di 2 anni dall’intervento chirurgico)
  • Ridotta capacita di mobilizzazione dell’arto operato
  • Reazione allergiche ai farmaci o materiali usati
  • Necessità di essere rioperati per una delle ragioni sopra citate
  • Cambiamento del programma chirurgico durante l’intervento chirurgico
  • Perdita di sangue tale da dover trasfondere (si fa solo se necessario!)
  • Improvviso scompenso delle condizioni di salute e morte
  • Trombosi venosa profonda e conseguente embolia polmonare

La fisioterapia dopo la chirurgia

L’obiettivo della maggior parte delle procedure chirurgiche per una frattura dell’ anca è di aiutare le persone mettersi in piedi e camminare il più rapidamente possibile. Questo aiuta ad evitare pericolose complicazioni che possono derivare dalla immobilizzazione prolungata nel letto, come la polmonite, trombosi (formazione di coaguli di sangue nei vasi sanguigni), rigidità delle articolazioni e dolore.

Un fisioterapista vi assisterà fin dai primi giorni dopo l’intervento

All’inizio non avrete voglia di fare niente e tanto meno di cominciare a camminare.
La prima fase della fisioterapia ha lo scopo di aiutarvi a muovere sempre di più l’arto inferiore operato e di mettervi seduti fuori dal letto il prima possibile.

Questo è il primo passo per essere poi aiutati ad essere messi in piedi e fare qualche passo con l’aiuto di un girello prima e delle stampelle poi.

In reparto di Ortopedia inizierete la fisioterapia che continuerà in un centro di riabilitazione dove verrete trasferiti appena idonei dal punto di vista medico.

I pazienti sottoposti a protesi totale o parziale d’anca dovranno evitare alcuni movimenti per evitare il rischio di una lussazione. La lussazione è la fuoriuscita della componente femorale da quella del bacino, che richiederebbe il riposizionamento dopo avere sedato il paziente (non è quasi mai necessaria una vera operazione per rimettere a posto la protesi)

I pazienti dopo l’intervento chirurgico dovranno quindi evitare determinate posizioni e movimenti dell’anca che sono a rischio per la lussazione.

Durante la degenza in ospedale il personale medico/paramedico vi insegnerà e vi ricorderà spesso quali sono le precauzioni per l’anca. Quando tornerete a casa dovrete ricordarvi queste regole che rimarranno sempre valide.